STUDI – Britaly: Italia-Regno Unito 4-0 per crescita, investimenti, export e lavoro
© The Economist – Pete Reynolds
Giovedì scorso 20 ottobre, dopo 45 giorni di governo, la Premier inglese Liz Truss si è dimessa. I mercati hanno bocciato l’annuncio, dello scorso 23 settembre, di una manovra fiscale espansiva per 45 miliardi di sterline, a cui è seguita una forte svalutazione della valuta inglese e un aumento dei rendimenti dei titoli di stato. Prendendo a riferimento l’Italia per questo episodio di instabilità finanziaria, l’ultimo numero dell’Economist ha titolato “Welcome to Britaly”. Con riferimento al paragone proposto, con intonazione negativa, è utile segnalare che a fronte della strutturale differenza tra Regno Unito e Italia nella presenza dello stato in economia – con indicatori di spesa, tassazione e debito pubblico ampiamente divaricati – l’analisi del trend di alcune variabili chiave evidenzia una migliore performance dell’economia privata e delle imprese italiane.
Il sistema economico italiano ha meglio reagito alla pandemia. Tra il 2019 e il 2022, secondo i più recenti dati del Fondo monetario internazionale, il PIL pro capite reale in Italia sale dell’1,2% mentre flette dello 0,2% nel Regno Unito. Dal 2016, anno del referendum della Brexit, il PIL pro capite in Italia aumenta del 5,0%, 1,5 punti in più del +3,5% segnato oltremanica.
I processi di accumulazione di capitale, in quota predominante generati dalle imprese, tra il 2016 e il 2022 segnano un aumento di 4,4 punti del rapporto tra investimenti/PIL nel nostro Paese a fronte del calo di 0,3 punti del Regno Unito. Grazie a tale andamento, dal 2017 l’Italia sorpassa stabilmente il Regno Unito per tale indicatore.
In relazione alla presenza sui mercati internazionali non c’è partita. Nella ripresa post-pandemia, tra il 2019 e il 2022, il volume delle esportazioni di beni e servizi è salito del 6,2% in Italia mentre è crollato del 9,9% nel Regno Unito, con il recupero frenato dai rallentamenti dei flussi di merci alle dogane.
Tra il 2016 e il 2022 il volume di esportazioni manifatturiere del made in Italy è salito del 20,2% mentre è sceso dello 0,9% in Regno Unito. Anche nell’ultimo anno la performance sui mercati internazionali vede il predominio delle imprese italiane su quelle inglesi: negli ultimi dodici mesi ad agosto 2022 la quota di export manifatturiero sul PIL sale di 3,3 punti rispetto ad un anno prima in Italia, a fronte del più limitato aumento di 0,6 punti registrato nel Regno Unito.
Sempre dal 2016 al 2022, il tasso di disoccupazione scende di 2,9 punti in Italia, quasi il triplo della riduzione di 1,1 punti registrata in Regno Unito.
Il made in Italy nel Regno Unito – Nei primi 8 mesi dell’anno l’export verso il Regno Unito sale del 17,8%, a fronte del +19,5% verso i paesi extra Ue e il +22,1% dell’export totale nel mondo. Tra i settori con una maggiore presenza di micro e piccole imprese si registra un andamento migliore nel Regno Unito rispetto alla media extra Ue per alimentari e bevande con +19,1% vs +14,2% extra Ue, articoli in pelle con +26,5% vs. +17,8% extra Ue e legno e prodotti in legno con +19.3% vs. +19,0% extra Ue.
Nel 2021 il mercato del Regno Unito vale 23.450 milioni di euro di esportazioni, pari a 1,3 punti di PIL. Nei dodici mesi ad agosto 2022 l’export, dilatato dall’aumento dei prezzi, sale a 26.158 milioni, pari all’1,4% del PIL. Nei settori a maggiore presenza di micro e piccole imprese – alimentare, moda, prodotti in metallo, legno e mobili, gioielleria, occhialeria, ecc.. – nel 2021 si addensa un terzo (33,0%) dell’export in Regno Unito, pari a 7.747 milioni di euro.
Nel 2021, l’Italia è il 1° esportatore nel Regno Unito tra i 27 paesi dell’Unione europea per abbigliamento, pelli e calzature ed è il 2° esportatore per i mobili e i prodotti in metallo, settori del made in Italy ad elevata vocazione artigiana.
Le prime quindici province italiane della moda – Milano, Vicenza, Prato, Firenze, Treviso, Reggio nell’Emilia, Bologna, Varese, Pisa, Roma, Piacenza, Vercelli, Bergamo, Biella e Como – concentrano i tre quarti (75,8%, pari a 1.793 milioni di euro nel 2021) del made in Italy del settore nel Regno Unito ed esportano più dell’intera moda della Germania (1.746 milioni di euro), secondo partner del Regno Unito per il settore.
Rilevante presenza di micro e piccole imprese anche nel settore dei macchinari, il 1° settore del made in Italy per export nel Regno Unito e per il quale l’Italia è il 2° esportatore tra i 27 paesi dell’Ue. Nelle tredici province del triangolo padano dei macchinari – che partendo da Varese, passa per Monza-Brianza, Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Treviso, Padova per poi scendere a Bologna e risalire attraverso Modena, Reggio nell’Emilia e Parma – si concentra il 57,3% dell’export di macchinari verso il Regno Unito, totalizzando nel 2021 vendite per 1.934 milioni di euro, non distante dall’export di macchinari dell’intera Francia (2.254 milioni).
Crescita, investimenti, lavoro ed export: Italia e Regno Unito, tra Brexit, pandemia e guerra
2016-2022 e 2019-2022, valori a prezzi costanti – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Fmi
Investimenti/PIL in Italia e Regno Unito dal referendum sulla Brexit ad oggi
2016-2022, % PIL – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Fmi
Made in Italy nel Regno Unito per settore
2016-2022, % PIL – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Fmi
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