STUDI – Le prospettive e le incertezze del 2023 per il sistema delle imprese del made in Italy

STUDI – Le prospettive e le incertezze del 2023 per il sistema delle imprese del made in Italy

Il 2022 è stato un anno contrastato, da un lato caratterizzato da una crisi energetica, diventata drammatica dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e dall’altro da una crescita dell’Italia che è stata superiore a quella di Cina, Stati Uniti, Giappone, Francia e Germania, grazie alla sostenuta dinamica degli investimenti. La stretta monetaria per ridurre l’inflazione – che a dicembre è al 9,2% in Eurozona e al 12,3% in Italia – e lo spostamento in avanti della spesa prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) portano ad una vistosa decelerazione della dinamica degli investimenti, che nel 2023 è prevista in salita del 2,8%, dopo il più performante +9,7% dell’anno appena concluso. Gli investimenti in costruzionidriver della ripresa post pandemia – dopo una crescita a doppia cifra nel 2022 (+10,9%) si fermano al +2,2% nel 2023.

L’analisi dell’Ufficio Studi che delineare le prospettive del nuovo anno è proposta nell’articolo “I numeri Della Crisi/ Il 2023 all’insegna dell’incertezza per le imprese del made in Italy” a firma di Enrico Quintavalle, pubblicato oggi su IlSussidiario.net.

La Bce ha preannunciato nuovi aumenti dei tassi «in misura significativa a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine». Anche la politica fiscale ha una intonazione deflattiva, sincronizzata con quella monetaria: il deficit pubblico è previsto in sensibile riduzione, passando dal 5,6% del 2022 al 4,5% del 2023. Quest’anno i consumi collettivi, in termini reali, scendono dell’1,1%, mentre la spinta espansiva della domanda pubblica rimane affidata agli investimenti finanziati dal PNRR.

La politica deflazionistica potrebbe ridurre eccessivamente la domanda e nel 2023 vi è un rischio concreto di stagflazione: secondo le ultime valutazioni del Fondo monetario internazionale, metà dell’Unione europea sarà in recessione. L’Italia, insieme con l’Eurozona, è già entrata in recessione tecnica, con due cali consecutivi del PIL, nel terzo trimestre del 2022 e nel primo del 2023 (tavola 2, Autumn 2022 Economic Forecast della Commissione europea). Secondo le ultime previsioni di Banca d’Italia, la crescita attesa per il 2023 è dello 0,4% contro il 3,8% del 2022, il tasso d’inflazione dovrebbe scendere al 7,3% dopo il picco dell’8,8% dello scorso anno, mentre il tasso di disoccupazione si stabilizza all’8,2%.

Sono numerosi i fattori di incertezza che pesano sulle decisioni delle imprese: l’evoluzione del conflitto in Ucraina, le tendenze dei salari e la velocità di rientro dell’inflazione, una recrudescenza dei contagi su scala mondiale e i ritardi di attuazione del PNRR, per il quale nel 2023 vanno raggiunti 96 obiettivi. Una elevata inflazione grava sui costi di produzione delle imprese e, riducendo il reddito reale delle famiglie, deprime i consumi mentre la restrizione monetaria determina effetti recessivi sugli investimenti. Il bilancio pubblico dell’Italia, a causa dell’elevato debito pubblico, è più esposto al caro tassi: la spesa per interessi nel 2022 e 2023 sale al 4,1% del PIL (era 3,6% nel 2021). In due anni la spesa per interessi sale di 17,8 miliardi di euro, oltre quattro volte l’aumento di 3,9 miliardi registrato dalla spesa sanitaria.

Nel corso degli ultimi mesi del 2022 si allentano le tensioni sul mercato energetico, a seguito del calo della domanda, e le strozzature nelle catene globali del valore, con una riduzione dei tempi di consegna e una attenuazione degli ostacoli alla produzione causati dalla scarsità di materiale.

Si delinea un rallentamento del commercio internazionale e le esportazioni, dopo aver registrato un aumento del 10,4% nel 2022, decelerano vistosamente, segnando nel 2023 un +1,8%, mentre le importazioni salgono del 4,3%. Le imprese affrontano il nuovo anno segnando il secondo rialzo consecutivo del clima di fiducia, che a dicembre migliora in tutti i comparti ad eccezione delle imprese della manifattura.

Le incertezze delle imprese del made in Italy – La manifattura inizia il 2023 all’insegna dell’incertezza. Oltre un terzo (36,8%) delle micro e piccole imprese (MPI) manifatturiere ritiene difficile da prevedere l’andamento futuro dei propri affari (era il 29,4% un anno prima) e il 45,2% lo ritiene abbastanza difficile da prevedere (47,1% un anno prima).

La crisi energetica sta colpendo i settori manifatturieri più energy intensive e, proprio in questi settori, sale la domanda di credito per poter sostenere gli esborsi per le bollette, con costi dei prestiti crescenti a causa della stretta monetaria operata dalla Bce, che da luglio a dicembre ha aumentato i tassi di 250 punti base. A fronte degli elevati prezzi del gas, le imprese riducono i consumi e l’attività produttiva: a novembre 2022 la domanda di gas della manifattura è inferiore del 20,5% rispetto ad un anno prima. Sale la difficoltà di accesso al credito, la quale registra una intensità che non si riscontrava dalla crisi del debito sovrano del 2011. La persistenza degli alti costi dell’energia può diffondere i casi di lockdown energetico: nel 2023 il prezzo del gas è previsto a 123,6 euro/MWh, in linea con la media del 2022 (122,5 euro/MWh), ma oltre il doppio delle quotazioni del 2021. A dicembre in Italia i prezzi dei beni energetici – elettricità, gas e carburanti – salgono su base annua del 65,1%, in Eurozona del 25,7%: la divaricazione dell’inflazione energetica pone un serio problema di competitività alle imprese italiane esposte alla concorrenza internazionale, con la manifattura tedesca che beneficia di interventi statali contro il caro energia di 2,3 punti di PIL superiori a quelli varati in Italia.

Pur in un contesto di riduzione del deficit, gli effetti della manovra di bilancio varata a fine dicembre in Italia sono espansivi, ma si concentrano nel sostegno dei consumi, mentre sono limitati quelli che incentivano gli investimenti, una componente della domanda già penalizzata dalla stretta monetaria.

Il commercio internazionale rallenta e nei primi dieci mesi del 2022 ristagna (+0,3%) il volume delle esportazioni. Sulla tenuta dell’export ha influito positivamente l’apprezzamento del dollaro, tendenza che si è invertita in autunno. Il cambio dell’euro, partito a 1,13 dollari ad inizio 2022, a ottobre è sceso a 0,98 dollari, per risalire a dicembre a 1,06 dollari.

Sul rallentamento degli scambi internazionali pesano le diffuse strette monetarie deflazionistiche e la frenata dell’economia cinese: i prodotti italiani più venduti in Cina, i macchinari, nei primi dieci mesi del 2022 segnano un calo di vendite del 15,3%.

La manifattura mantiene una robusta domanda di lavoro, con gli occupati che nel terzo trimestre del 2022 salgono dell’1,2% rispetto lo stesso periodo dell’anno precedente. Tra le principali regioni manifatturiere, la locomotiva è il Veneto con un aumento del 3,8%, seguito dalla Lombardia con un +1,8% mentre è stabile l’Emilia-Romagna. Persiste una elevata difficoltà di reperimento della manodopera che a gennaio 2023 è rilevata da Unioncamere e Anpal per il 55,8% delle assunzioni previste di operai specializzati e conduttori di impianti e macchine.

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